La datazione dell'ultimo autoritratto dell'Artista.
Il monocromo
- una caratteristica rielaborazione pittorica del tutto personale -
L'Autoritratto monocromo è sempre stato nella collezione dell'Artista, ma la sua "data di nascita" era stata dimenticata; appeso al muro nello studio ed esposto più volte in varie mostre, rivelava una tecnica non classica e definibile per l'evoluzione artistica.
L'orientamento temporale era rivolto inizialmente verso i primi anni '60 per via del supporto di faesite su cui è stato compiuto e della tecnica a guazzo con colore a olio. C'era però qualche dubbio per l'incertezza sull'età dell'effigiato al tempo dell'esecuzione (dal confronto con la versione dell'importante Autoritratto con i pennelli, del 1954, nonostante si tratti di due rappresentazioni pittoriche con scelte espressive differenti, si percepisce un'effettiva distanza di tempo determinata dal naturale invecchiamento del viso). Alcune citazioni, riferimenti in vari depliant, con il titolo “Autoritratto”, nella seconda metà degli anni '50, senza un riscontro fotografico o descrittivo in articoli di giornale, non aiutavano a fare chiarezza sul preciso anno di realizzazione. La scoperta dunque dello schizzo -il primo momento creativo dell'opera d'arte- per l'autoritratto , eseguito sul retro del disegno di Fibbialla del 1960-61, un termine ante quem, ha sancito la più probabile datazione del quadro a olio, accorciando la forbice tra il 1960 e il 1963, e più precisamente il 1962 (prima probabile esposizione nella mostra del luglio 1962 alla Galleria “La Navicella” di Viareggio: il depliant documenta il numero espositivo 2 - Autoritratto e una recensione di giornale sottolinea che vengono esposte solo opere nuove, degli ultimi due anni). Il fatto coincide poi con lo stesso periodo in cui l'Artista torna a utilizzare sporadicamente il supporto di faesite per piccole opere (dipingendo direttamente sulla parte ruvida del rovescio e senza nessun ulteriore sostegno, a differenza del sistema più complesso adottato in precedenza). Il suo personale procedimento a guazzo si riferisce alla caratteristica imprimitura che anticipa la composizione a colori quando, per progetto o scelta del momento e a seconda del livello di riuscita raggiunto, decideva di non rifinire ulteriormente un dipinto, ma lasciava il monocromo con campiture chiaroscurali di bruno e preferibilmente Van Dyck. I nuovi elementi acquisiti ci portano a considerare il monocromo come ultima prova di autoritratto dipinto. |
Dal disegno al dipinto Nel disegno, la quadrettatura rivela l'intenzione dell' Autore di trasporlo su un altro supporto e realizzarne un dipinto e poiché tale segnatura lo qualifica anche come disegno preparatorio, indica il punto d'arrivo dell'idea progettuale.
La versione a olio ricalca infatti la stessa impostazione, ci sono altresì le tracce della suddivisione spaziale che corrispondono perfettamente con le linee a reticolo dello schizzo. Questi segni ne testimoniano la restituzione in scala uno a uno (infatti l'inquadratura dello studio misura circa 35X28 cm e il dipinto 36,5X29,5 cm) e sono leggibili sullo sfondo già predisposto: sono stati lasciati scoperti, perchè l'Artista aveva avuto probabilmente l'idea di sviluppare l'opera a colori, ma a compimento della stesura a guazzo di solo bruno Van Dyck ha considerato, con questa versione, il lavoro terminato e soddisfacente; tant'è vero che si riconoscono dei graffi di miglioria, apportati su alcune linee tra campiture per esaltare i contorni dell'iride, di naso, orecchio, collo e altri segni in maniera diffusa, peculiarità tecnica riscontrata in altri monocromi di Acci valutati come lavori completati. Una scelta ardita, quella di non proseguire con il colore, per la difficile resa monocromatica dei tratti del viso, sfruttando l'interferenza della preparazione chiara, senza curarsi dell'imperfezione delle pennellate stese. Sicuramente una prova di espressione artistica di un'immediatezza comunicativa molto riuscita. La velocità dell'esecuzione caratterizza tutte e due le opere. Un disegno essenziale atto a cogliere i lineamenti fisionomici con riuscita fedeltà oggettiva, senza il fine di una somiglianza assoluta, con pochi tocchi di matita, ripassati e marcati nervosamente a carboncino e con sfumature di getto piuttosto astratte e poco definite, ma incisive e indispensabili per l'aspetto finale. Passa quasi inosservato il pentimento apportato alla posizione dell'orecchio, la correzione lo sposta poco più in alto. Il dipinto immortala le fattezze del volto, anche in questo caso non più con il primario scopo che in genere si chiede a un autoritratto (ottenere con una vera ostentazione la riproduzione esteriore fisica dell'Artista "nell'attimo fuggente"), ma generando, solamente attraverso il particolare effetto tecnico di toni chiaroscurali, un'espressione di spirito decisa a svelare qualcosa di intimo e autentico. Il Pittore si volta a tre quarti, ci fissa e riesce a catturare la nostra attenzione. Non offre nessun altro strumento di identificazione, giusto lo sviluppo ben definito del colletto e della spalla per permettere alla luce di diffondersi esclusivamente sulla testa, delineata su fondo neutro, disordinato e scuro, così che tutto sia concentrato sui connotati del volto che trattengono un vago sorriso e sullo sguardo (più tenero e abbassato in confronto a quello del disegno, attento e diretto) che non si sa se sia rivolto verso qualcuno di noi oppure, forse, verso qualcosa di immateriale che solo lui può vedere. Il risultato sembra essere un'esaltazione dell'essenza dell'Artista, senza l'accanimento di confrontarsi con il tempo che scorre e la sfida di documentarlo; lui solamente ci osserva con intensità e noi pure, reciprocamente. |